di Gustave Flaubert
Un classico della letteratura e il capolavoro di Gustave Flaubert, che indusse al conio del termine “bovarismo” a rappresentare la condizione di chi si abbandona per noia ai vizi e che portò lo stesso autore a dichiarare simbolicamente “Madame Bovary c’est moi”.
Il romanzo, uscito nel 1857, riscosse subito un grandissimo successo di pubblico, ma anche moltissime critiche dovute al tema del racconto (la storia di una donna e dei suoi ripetuti adulteri) e al modo in cui le vicende sono narrate, utilizzando un crudo realismo con l’intento di sottolineare la drammaticità della storia.
L’autore fu anche sottoposto a processo per vilipendio della morale, da cui riuscì ad essere assolto solo attraverso la dimostrazione che l’oggetto della narrazione non era l’esaltazione dei comportamenti immorali, quanto la veritiera descrizione dell’esistenza di una giovane donna che incarna gli ideali romantici, trasformata in donna mediocre e costretta a vivere una banale vita di provincia.
E’ la vita che delude Madame Bovary e che calpesta i suoi sogni, i quali a poco a poco diventano miraggi: avvilita e disillusa inizia a condurre, presa dalla disperazione, una vita dissoluta al di là delle sue possibilità, per fuggire a un destino infausto.
Flaubert racconta la lenta discesa nella noia dell’anima della protagonista con un’accurata ricerca di parole con descrizione puntuale, ma anche sensibile e rispettosa, che difende anziché denigrare le legittime aspirazioni di una femminista ante-litteram:
Fin dai primi di luglio cominciò a contare sulle dite quante settimane le rimanevano per arrivare al mese di ottobre, pensando che magari il marchese d’Andervilliers desse di nuovo un ballo alla Vaubyessard. Ma tutto settembre passò senza lettere né visite. Dopo la pena di una simile delusione, di nuovo il suo cuore si ritrovò vuoto, e allora ricomincio la serie delle giornate, sempre le stesse. Dunque ormai si sarebbero susseguite in fila, sterminate, monotone, senza portare nulla di nuovo.
Nelle altre esistenze, per mediocri che fossero, c’era almeno la possibilità di un avvenimento. Un’avventura poteva essere la causa di peripezie infinite, e mutava lo scenario. Ma a lei non succedeva niente, così Dio voleva. L’avvenire era un corridoio buio, con al fondo una porta sprangata.
Abbandonò la musica. Perché suonare? Chi l’avrebbe ascoltata? Dal momento che non avrebbe mai potuto, con un vestito di velluto a maniche corte, su un pianoforte d’Erard, in un concerto, battendo con le dita leggere sui tasti d’avorio, sentirsi avvolgere, simile a una brezza, da un mormorio d’estasi, non valeva la pena di ostinarsi a studiare.
Lasciò nell’armadio i fogli da disegno e il ricamo. A che scopo? A che scopo? Cucire la innervosiva.